Abitare il futuro

Connessi, Custodi, Fratelli

Mappe e tappe per abitare il futuro di Caritas Savona – Noli

DON GERO

La Caritas dei miei sogni, che mi pare in questi anni di aver incontrato a Savona, è fatti di sguardi capaci di custodire e di mani che aiutano a risollevarsi, perché “non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi” (L. Pintor): sguardi e mani così ne ho incontrati, in donne e uomini della nostra Caritas! E ne sono felice e grato.
Perché la Caritas dei miei sogni viene da molto lontano, quando Pietro e Giovanni, pochi giorni dopo Pentecoste, cercano di andare al tempio a pregare e non ci riescono, perché vengono fermati da un uomo senza nome, “storpio fin dalla nascita” (Atti degli Apostoli, Capitolo 3), che chiede l’elemosina. E Pietro, fissando lo sguardo su di lui, gli dice: “guarda verso di noi”; ed egli si volse a guardarli (quanti sguardi scambiati, in questi anni, in mensa o ai centri di ascolto… Sguardi di speranza, ma anche impauriti; sguardi talora arrabbiati o di giudizio – i “nostri”, i “loro” – sguardi di gratitudine, talora; sguardi che comunque non ti lasciano indifferente…). Ma Pietro non ha soldi (proprio come noi, che non sempre riusciamo a far fronte a tutto), e allora “lo prese per la mano destra e lo risollevò”. E allora quell’uomo “si mise a camminare”. Perchè Pietro, proprio come la nostra Caritas, non voleva creare dipendenze, ma generare libertà e autonomia! E quell’uomo se ne va, e forse non lo avranno rivisto più…
Tra le 1000 “cose” fatte in questi anni dalla “mia”/nostra Caritas, mi piace allora ricordare solo quanto fatto nei tempi del Covid: i servizi sempre aperti, il seminario ospitale per chi voleva stare lì, le mascherine artigianali preparate da tante e tanti. Perché si sentiva aria di Pentecoste e si sperimentavano fraternità e sororità.

CLAUDIO MASSOLA

Sono entrato in Diocesi come operatore nel 1999. Poi nel 2000, a luglio, sono diventato direttore. Sì, a luglio. Mi ricordo perché è stato in occasione della festa della Madonna del Carmine a Finalborgo, me lo ricordo, perché il Vescovo mi chiamò quel giorno lì, in quanto io avevo già rifiutato qualche mese prima e lui ha insistito. Sì, ha insistito. Mi aveva chiesto di cercare proprio di dare una mano e ho sentito in quel momento anche la necessità di dire Sì, erano successe delle cose per cui era importante dare una mano e ho ritenuto che fosse giusto. Sono contento di questa scelta comunque.

Guarda, sono stati alcuni mesi, alcuni periodi di questo mandato, sono stati difficili perché non è giusto negarlo. È stata, non dico la più bella, ma una delle più belle esperienze della mia vita. Sono entrato in contatto davvero con la povertà, sono entrato in contatto con delle persone meravigliose. Intanto molti miei colleghi con cui ancora ci vediamo, siamo legati. Sono successe delle cose incredibili anche come bellezza umana di rapporto. È stato un periodo di grande studio perché non mi sentivo assolutamente all’altezza come non lo sarei adesso, perché è una cosa grossa, una cosa difficile. E quindi io ho studiato tantissimo. La Caritas Italiana, come la Caritas Diocesana, ha messo a disposizione tante risorse per noi, aveva messo tante risorse per i direttori, per chi voleva studiare. Sono anni che ricordo proprio volentieri, hanno scatenato tutto, comunque una cosa che mi ha portato, secondo me, a fare delle riflessioni e, se vuoi, delle crescite umane importanti. Quindi la ricordo proprio col cuore grande. Bene, bene, bene.

Guarda, a un incontro che avevamo fatto dove moderava Gad Lerner. lui disse alla CEI: “Vi prego, ai vescovi, vi prego di non tirare il freno a mano alla Caritas”. Io gli auguro quello. E mi auguro che non si tiri il freno a mano perché, se mi permetti di dirlo, il messaggio della Caritas non solo è attualissimo, vediamo cosa sta succedendo nel mondo, ma credo che non si comprenda appieno. Io non posso dire di averlo compreso appieno, ci ho provato, ci provo. Penso di essere arrivato comunque a capire cosa c’è sotto, perché di sicuro non è dare gli abiti usati, dare il cibo, è tutta un’altra cosa che parte da te stesso, dall’accettazione vera della pace dell’altro. E poi da lì allora ti accorgi che non puoi più vivere in un mondo dove una persona ha meno di te, dove una persona non può raggiungere le cose essenziali di vita, di livello di vita. È questo che mi è piaciuto nella carità, il fatto che c’è un progetto, c’è un’idea, non è un fare. Io devo confessarti che sono molto portato al fare. Ed è per quello che mi ha fatto molto bene la Caritas, perché da prima i colleghi più esperti, poi gli esempi degli altri direttori che ci sono stati prima di me, chiaramente non tutti, però ce n’è stato qualcuno che veramente ha lasciato una impronta bellissima nella Caritas e in chi lavorava.

E poi nei miei colleghi, io ho avuto dei colleghi eccezionali. E quindi tutto questo fa sì che io auguro alla Caritas di ritornare a quello spirito con cui nel ’71 i vescovi l’hanno istituita, perché poi si è un po’ deviato, poi non si è capito, poi, poi, poi, ma è quello che serve. Quindi questo è un bell’augurio.

MARCO ANSELMO

Documento redatto dagli Obiettori di Coscienza della Caritas anno 1983 con la collaborazione di Don Silvio Del Buono.
LA PACE………..ANCORA ?

È interessante capire il contesto di questo documento: intanto è stato scritto nel secolo scorso, e neanche alla fine dei cento anni, la data esatta è il 1983, in occasione della Giornata Mondiale della Pace. Il documento è nato dall’esigenza di diffondere un pensiero sorto nell’ambito dell’Obiezione di Coscienza, del diritto all’Uguaglianza tra i Popoli, della Lotta Non Violenta e in ultimo del Servizio ai più Poveri ed Emarginati. Ne sono Autori gli Obiettori di Coscienza della Caritas in servizio nel 1983 con il contributo essenziale di Don Silvio Del Buono allora responsabile della Comunità Obiettori di Piazza Consoli a Savona. A rileggerlo oggi non sembra uno scritto datato di 40 anni (il testo è del tutto originale) ed è di un’attualità disarmante (e non è un gioco di parole).
Il desiderio che lo accompagna è quello che tutti i giorni del calendario desidereremmo fossero tutte “Giornate Mondiali per la Pace”.
La Pace: una realtà che sembra lontana da noi, irraggiungibile perché troppo al di sopra delle nostre forze, al di là delle nostre possibilità e soprattutto delle nostre responsabilità. Lottare contro chi, verso che cosa e con che eventuale risultato?
La Pace: una questione le cui sorti sembrano stare nelle mani dei pochi che decidono a tavolino per i molti che forse ancora di più l’hanno a cuore, e che per questo, spesso, rimane un problema insoluto; un enigma che paradossalmente trascende le possibilità di coloro che più da vicino sono gli interessati e cioè gli uomini e donne di ogni paese nella loro totalità, le masse di persone, specialmente le più deboli, le più povere, le più sfruttate.
Per esse il diritto alla vita, a una vita degna di un essere umano e la dignità conseguente da riconoscergli sono la forma immediata con cui si presenta una credibile proposta di Pace.
La Pace assume allora il volto del rispetto e della promozione dei più elementari diritti umani di cui la vita ha bisogno. Si, perché la Pace non è soltanto un problema di bombe e di missili, di rapporti Est-Ovest, di equilibri di forza tra potenze contrapposte, questo è semmai l’ultimo sintomo, il più a noi vicino, di una malattia che ha altrove le sue radici ben più profonde.
Dal punto di vista umano, si può dire che lo squilibrio dei rapporti tra gli uomini, la disuguaglianza provocata all’interno delle società e tra i popoli stessi è dovuta alla volontà di dominio, di potere, di autoaffermazione di un singolo, di una classe, di un gruppo, di un popolo sugli altri.
L’uomo, ha sempre ceduto alla tentazione di trovare il proprio bene, la propria autonomia, la propria identità, nella sottomissione o addirittura nell’annullamento della realtà che gli sta attorno, suoi simili compresi. Ha ceduto a voler vedere gli altri come substrato da usare, da trasformare come strumento di profitto, oppure, in caso contrario come ostacolo da abbattere.
Dal punto di vista politico ed economico questa deviazione si trasforma in ideologia e in sfruttamento, la politica dei due blocchi è conseguenza di una ormai consolidata strategia dell’accaparramento e dello sfruttamento da parte di alcuni popoli nei confronti di altri: è il limite imposto da uno sfruttatore a un altro per poter mantenere intatto il proprio dominio su una parte del mondo di fronte al concorrente.
È all’interno di questi due blocchi che sta perciò lo squilibrio, quello principale, il motivo del fronteggiarsi di due ideologie.
Chi crede veramente nella Pace, chi è portatore di Pace sa che c’è bisogno di una nuova conversione dell’uomo. Smontare gli spiriti significa anzitutto abbandonare la logica del consumo arbitrario e illimitato, optare per una vita che non sia schiavizzata da miti inconsistenti, ma ritorni all’essenziale, a farci sentire uomini solidali con altri uomini, parte di una umanità il cui destino e le cui mete passano attraverso tutti noi.
Solo a partire da una totale conversione, dal realizzarsi di un uomo nuovo, e perciò da un rovesciamento del nostro modo di vita attuale, da una opposizione alla logica del consumo si potranno porre le basi per una reale solidarietà con tutti i popoli e scardinare perciò alla radice la logica del conflitto e degli equilibri di forza, perché così facendo le toglieremo la vera ragione di esistere.

FRANCO ZUNINO

L’impegno della Caritas Savonese a fianco delle comunità colpite dai terremoti in Friuli e in Irpinia

I terribili terremoti che colpirono i territori del Friuli nel 1976 e dell’Irpinia nel 1980 suscitarono una forte solidarietà in tutto il Paese e anche a Savona diversi soggetti si organizzarono per portare soccorso alle popolazioni così duramente colpite. La Caritas nazionale invitò quelle diocesane ad organizzare dei veri e propri gemellaggi con le varie comunità in difficoltà e anche quella savonese si mosse, senza indugio, in tale direzione. Nell’estate del 1977 un gruppo di giovani, soprattutto delle parrocchie di San Lorenzo e di San Francesco da Paola, sotto la guida di don Silvio Delbuono, si recarono per un campo di lavoro a Pioverno, frazione di Venzone, epicentro del sisma. Io e Francesco Calabria, i futuri primi due obiettori di coscienza al servizio militare della Caritas Diocesana, precedemmo di qualche giorno il gruppo per meglio organizzare la logistica, in grosse tende militari, del gruppo. Fu un’esperienza umana per molti di noi estremamente importante e formativa e spesso ancor oggi, quando da “reduci” di quell’avventura ci incontriamo, ne ricordiamo “frammenti” significativi, soprattutto a riguardo del rapporto di fratellanza che si instaurò con molte persone di quella piccola frazione. Alcuni di noi tornarono lì, sempre con don Silvio, nel dicembre dello stesso anno per passare le festività natalizie con quella comunità. Ognuno di noi venne invitato a pranzo da una famiglia friulana e di certo non possiamo dimenticarci del “frico” e della grappa. Qualche anno dopo, con un pullman, una rappresentanza della comunità di Pioverno venne a farci visita a Savona, rinsaldando così l’amicizia che si era creata.
Nel gennaio del 1980 avevo iniziato il mio servizio civile in Caritas e quando nel novembre di quell’anno l’Irpinia fu colpita dal sisma, don Eusebio Pamparino, allora responsabile della Caritas Diocesana, mi chiese di occuparmi del coordinamento dei volontari che numerosi si resero immediatamente disponibili per recarsi a Sorbo Serpico e Salza Irpina, nella provincia di Avellino. In particolare a Sorbo Serpico, tra i vari responsabili del campo non posso dimenticare, tra gli altri, don Giancarlo Frumento e don Carlo Rebagliati. Fu un inverno terribile e mi ricordo di aver dormito in un camper con sette coperte addosso; come non potrò mai dimenticare i due viaggi in auto con don Pamparino e soprattutto il testa a coda in autostrada con il fondo ghiacciato. La buona stella, o chissà forse altro, ci salvò.
Don Eusebio Pamparino e don Silvio Delbuono, e poi don Antonio Ferri, furono in quegli anni i riferimenti decisivi per lo sviluppo della Caritas savonese e soprattutto per coloro che, come me, avevano fatto la scelta dell’obiezione di coscienza al militare, optando per il servizio civile, del quale per la prima volta potemmo vederne l’utilità proprio in Friuli nel 1977.

DON ANGELO MAGNANO

Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?” (Mt 9,11)
Connessi, custodi, fratelli…

In fondo, si tratta di vincere la diabolica seduzione del “ti sono di aiuto”, cara a tanto volontariato. Battaglia difficilissima. Chi, come me, ha un ruolo da indossare, rimane più a rischio di altri. Proprio per questo sono grato a quanti mi hanno insegnato a mettermi dalla parte del pubblicano e non da quella di Gesù: gli ospiti di “Casa Emmaus”, indimenticati compagni di strada e commensali; gli uomini e donne del presidio psichiatrico di Pratozanino, cantori dello sguardo “altro” sulla vita; i giovani africani di “casa san Giuseppe” e di Cogoleto, tenaci sognatori di speranze.
Inevitabile la tentazione di fare qualcosa per loro. Ma può accadere il miracolo: seduto a mensa – la cattedra prediletta dal Maestro – scoprirmi amato, accolto, amico. Loro Gesù, io il pubblicano Matteo. I ruoli rovesciati, come nel Carnevale. Ma senza maschere: nella verità della vita.

DON ANTONIO FERRI

Le radici della Caritas

Me le tengo ben strette le radici della Caritas, nella consapevolezza che, a furia di darle per scontate, si finisce per richiamarle troppo poco esplicitamente. Mi ci afferro in nome delle tante persone che ho cercato di aiutare o di tante situazioni verso le quali sono intervenuto, sollecitando e coinvolgendo il più possibile la collaborazione di altri. Soprattutto lo devo ai tanti, i poveri in primis, che mi hanno educato, formato e persino trasformato. Sono loro che mi hanno sempre riportato a quelle radici che non hanno mai smesso di motivarmi, con cui ho voluto motivare gli altri e che, in definitiva, sono solo radici di fede. Mai dimenticarle, tanto meno darle per scontato, come se, una volta che ho bevuto una bella quantità d’acqua, posso illudermi di poterne fare a meno per il resto della vita. Sarà sempre la sete a riportarmi a qualche fonte. Quanta sete di fede hanno le nostre radici?
Mai dimenticarle le nostre radici, altrimenti pretendiamo di fare tanto, con una montagna di buona volontà, ma confidando solo in noi stessi. Atteggiamento questo che spinge tante persone, spesso molto religiose, a non essere né compromesse, né accoglienti, né fratelli solo perché non riescono a leggere con evidenza che l’attenzione al povero e alla giustizia parte da un ineludibile legame a Cristo e lì sempre deve ritornare per rimotivarsi.
È vero che le radici sono quella parte essenziale delle piante che restano invisibili agli occhi. Non ci vuole molta fantasia ad immaginare che cosa ne è di una pianta a cui sono tolte le radici: la morte per inedia. Vorrei allora che la Caritas Diocesana, che celebra in ottima salute i suoi 50 anni di vita, continuasse a piantare alberi di accoglienza, promozione della persona, condivisione e giustizia nel volto di tanti servizi e persone coinvolte in questa sua storia. Soprattutto però chiedo che non smetta di alimentare nella fede quelle radici di cui non può fare a meno. In loro nome abbia sempre vivissima la sua fondamentale vocazione che la spinge, attraverso tutti i segni possibili, coraggiosi e più ricchi della carità, a riportare a quelle stesse radici la Chiesa tutta perché senza quelle radici, anche la Chiesa intristisce e muore. L’apertura ai poveri, al mondo, a tutti e tutte senza esclusione, deve essere sempre la conseguenza di queste solide, forti e, lo ripeto, esigentissime radici che dal vangelo di Cristo partono e lì non smettono di ritornare.

SUOR MORENA MAZZER

Connessi, custodi, fratelli, tre parole che descrivono bene l’esperienza che noi Figlie di M.V. Immacolata abbiamo condiviso con la Caritas diocesana.
Connesse da sempre con la realtà savonese, in particolare nel servizio alle persone fragili, in mezzo alle case, dentro e fuori, la collaborazione con la Caritas, fin dal suo inizio, è stata una conseguenza naturale dell’essere immerse nel territorio, custodi di una perla preziosa da condividere e del sentirsi fratelli e sorelle con tutti coloro che abitano la nostra città e le nostre periferie.
Anche il mio breve servizio nella casa di accoglienza per minori, si è inserito all’interno di una rete di relazioni che Sr. M. Vittoria Zanette, Sr. Liliana Cozzani, Sr. Cesarina Lavagna, avevano intessuto in questi anni.
All’interno di questa storia, ho potuto sperimentare lo spirito di servizio che mette al centro la persona, intreccia legami all’interno di una comunità, vuole il bene dell’altro e non cerca risultati o “successi”, ma segue la logica evangelica del “perdere” per ricevere e donare vita. Una missione vissuta in un contesto di fragilità, consapevoli che il nostro essere con l’altro e per l’altro, è l’espressione del Volto di Cristo che solo può riempire di senso e di speranza l’esistenza, dare forza per rialzarsi e camminare di nuovo.

HANUSHKEVYCH TSEZARII

Ho l’onore di invitarvi alla mia mostra personale di pittura.
Questo è il mio piccolo e umile ringraziamento per la vostra ospitalità, il vostro sostegno, il vostro aiuto e la vostra comprensione per la grande tragedia che per il terzo anno continua sulla mia terra natale.
Da più di due anni realizzo schizzi della meravigliosa Italia, principalmente della Liguria. In futuro, dopo la fine della guerra, questi lavori diventeranno la base di una serie di opere dedicate a questo bellissimo paese, con la sua ricca storia, cultura e i suoi straordinari successi contemporanei. Ricorderò sempre con gratitudine e grande affetto voi, persone gentili, generose, cortesi e sagge. Le parole non bastano a descrivere quanto io sia grato.
Prima di tutto vorrei esprimere un ringraziamento speciale ai miei amici, perché senza il loro aiuto questa mostra non esisterebbe.
In particolare Gilda, Marina e Cristina, che ci aiutano anche nell’apprendimento della lingua italiana. Ringrazio Suor Assunta e le sue consorelle, che hanno gentilmente messo a disposizione lo spazio per questa mostra. Grazie a Cristina e Alberto, che hanno organizzato per noi diverse gite in vari luoghi italiani, permettendoci di conoscere la storia, l’arte, la cultura e la bellezza dell’Italia. Per me questi viaggi e visite sono sempre nuova fonte di ispirazione. Infine un sincero ringraziamento va alle nostre operatrici del centro di accoglienza, Lidia, Francesca e Maria, che si prendono cura di noi ogni giorno. Tutte le persone che ci hanno accolto e sostenuto sono per me un dono prezioso: grazie di cuore per ogni cosa.
Grazie mille a tutti voi!

MAURO TERESIO CIARLO

Dicembre 1973, mese gelido ed ombroso. In serata ricevo una telefonata di Mons. Parodi che desiderava parlarmi per un nuovo progetto pastorale. Mi recai in Curia il giorno dopo. Nevicava e all’angolo di molte strade non erano pochi i caldarrostai imbacuccati in lunghi pastrani. A quei tempi, avevo venti anni, trascorrevo molte ore insieme a dei poveri che rifornivo di cibo caldo e coperte sgualcite. Piccoli atti fraterni che mi rendevano partecipe della custodia del creato. Il Vescovo aveva saputo di questa mia attività, e mi parlò della nascita della Caritas, in quel di Savona. tra lo studio /stavo preparando la mia tesi universitaria) e la mia passione giornalistica riuscii a trovare uno schema per custodire la non umiliazione degli ultimi. Insieme ad altri giovani si iniziò un’avventura indimenticabile: breve censimento delle parrocchie, apertura di punti d’ascolto, in poco tempo diventammo punto di riferimento per i poveri della nostra diocesi. Quanti ricordi, conoscere quell’umanità dimenticata era preziosa crescita spirituale nel Cristo Nostro Signore. Tra i vari aneddoti mi fa piacere ricordarne uno in particolare. Gino era un senzatetto di circa cinquanta anni con piccoli problemi psichici, ed abbandonato dai familiari come un cane di strada. Era sempre allegro, anche quando pioveva forte e rimaneva raggomitolato nelle sporche coperte di lana ruvida. Mi chiamò in disparte e tirò fuori dalla giacca lisa duecento lire. “Li ho racimolati in due settimane. Fammi il favore: compra un cappellino a fiori per Antonella, una mia amica con cui vado molto d’accordo. So che mi dirai che dovrei adoperare questi soldi per cibo e vestiario decente ma il vezzo che preparo sento mi darà un po’ di gioia”. Feci la commissione. Giorni dopo li vidi abbracciati e felici. Si sposarono dopo qualche mese e diventarono i miei più solerti collaboratori. Poi intervenne la “provvidenza”. Gino aveva conosciuto un fornitore di formaggi e insaccati che riforniva tutta la Liguria. Si aprì un localino dove i “nostri poveri” giungevano e si rifornivano di ciò di cui avevano bisogno. L’amico fidato trovò un lavoro come aiutante del fornitore. Si riuscì ad aiutare non pochi, sempre con un sorriso prezioso, al funerale di Gino in centinaia accorsero, tutti suoi fedeli amici nella povertà monetaria ma nella ricchezza di un cuore puro e sano!

LORENZO SPERI CAPELLI

Era una sera freddissima a Cairo Montenotte nel lontano inverno del 1980, mancavano pochi giorni a Natale ed arrivarono due scout a bussare alla porta di casa, allora ero un bambino di 12 anni e come tutti i bambini attendevo due cose: la neve e il regalo. Mia madre ha sempre avuto l’abitudine di comprare i regali molto in anticipo e di nasconderli in modo approssimativo. Ora io sapevo da giorni che il mio regalo era “nascosto” nell’ armadio della mia cameretta nei ripiani più in alto, la forma e la consistenza del pacco, nonché una sbirciatina ed anche il chiaro riferimento al negozio di articoli sportivi sulla carta regalo non lasciavano spazio al dubbio! Mia mamma mi aveva preso proprio il sacco a pelo rosso in thinsulate che desideravo da tempo! La cosa mi riempiva di gioia e la tentazione di scartarlo e dargli un occhiata era forte! Era proprio ciò che desideravo e immaginavo di dormirci la notte di Natale sia pure nel mio letto. Finalmente potevo sostituire il vecchio sacco militare comprato sul mercato, bruttino, grosso e pesantissimo. Gli scout che vennero a bussare alla nostra porta, vi raccontavo, quella sera erano in cerca di coperte e sacchi a pelo per i terremotati dell’Irpinia che stavano affrontando il rigore del freddo nelle tende e nelle roulotte, mia madre mi mandò allora a prendere il mio sacco a pelo e io senza esitazione andai a prendere il mio vecchio sacco a quel punto mia mamma vedendomi arrivare sorridente perché era chiaro che mi sarei sbarazzato di un oggetto ormai inutile mi fece segno oscillando l’indice di no, che mi stavo sbagliando e poi aggiunse vai a prendere quello nuovo ed io mestamente andai e recuperare il mio regalo ancora incartato e lo consegnai tristemente ai due giovani rover, mia madre non aggiunse mai una parola e per qualche giorno la cosa mi provocò una certo rammarico, poi lentamente me ne feci una ragione e con il tempo capii che mi aveva dato una grande lezione e quello per me rimane il più bel dono di Natale! Non c’è periodo natalizio in cui non mi ritorni alla mente il mio sacco a pelo rosso, quella sera e ricordo con affetto questa lezione di vita, quest’ azione che più di mille parole mi ha educato al vero senso del dono. Qualche volta, a ridosso del Natale, con la voce rotta dall’emozione e rischiando di non arrivare alla fine del racconto o condiviso questa storia con amici e colleghi e ho la sensazione che quel sacco a pelo rosso sia divenuto anche per altre persone un dono prezioso!