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La parola del direttore

 

Quando Monsignor Vescovo mi disse che aveva pensato a me come direttore della Caritas diocesana, rimasi di sasso. Perché proprio io? Fu il primo pensiero che ebbi. Mi sorrise, confortandomi sul fatto che, poi in fondo, non si trattasse poi di chissà quale incarico essendo comunque lui il Presidente. Lì per lì non mi convinse. Per niente. Con pazienza, mi disse di rifletterci, di pregarci su. A volte non vogliamo riflettere, o forse, quando il no prende lo spazio più grosso nella nostra mente, non rimane spazio per la riflessione. La preghiera invece, può fare una breccia, come la goccia che scava dentro, meglio ancora, come un balsamo profumato che lenisce e da sollievo. Pensai all’icona biblica di Mt 16,23, nella quale Gesù riprende Pietro e lo invita a mettersi dietro di Lui. Con queste parole credo che Gesù inviti ognuno di noi a mettersi umilmente dietro al suo Signore, salendo la strada del nostro Golgota, la vita di ogni giorno. In questa ottica chi segue Gesù resta se stesso, ma non si appartiene più, è uno che non trova più in se stesso ma in Lui il senso della propria vita, la sua ragione di essere. La chiamata al discepolato è la chiamata che riceve ognuno di noi, in quel momento pensai di averla ascoltata nuovamente. Accettare di essere direttore è per me accettare di mettermi in cammino in una strada in salita, una strada che non conosco, dove sicuramente avrò tanto da imparare. Ho accettato chiedendo al Vescovo un confronto sincero, serrato, continuo. Ne ho bisogno. La stima che nutro nei confronti di ognuno dei miei colleghi, mi ha confortato nel fatto che, avrei potuto condividere con loro il cammino, che non mi sarei mai potuta sentire sola, accompagnata anche da tutti i volontari che in questi 50 anni ed ancora oggi non fanno mancare la loro preziosa vicinanza a chi ha bisogno. La vita, grazie al cielo, non è fatta di solo dolori anzi, il Signore ci chiama alla ricerca della vita piena e gioiosa già qui ed ora. E questa ricerca di pienezza, non può essere solo una tensione personale che esclude l’altro, ma un cammino condiviso. La Chiesa tutta in cammino con il Signore non deve lasciare indietro nessuno, nemmeno i più fragili, coloro che fanno più fatica a reggere il passo della vita. Come ha scritto Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno “la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana “. Dunque siamo chiamati all’impegno per salvaguardare questo fragile tesoro, consapevoli che la reciprocità di cura che ci viene offerta, può essere davvero la nostra salvezza. Non si tratta di un discorso retorico, conosciamo la precarietà della vita di oggi, e la facilità con cui si può scivolare dall’agiatezza di vita e di relazioni alla difficoltà non solo economica. In questa ottica, ovvero quella della cura della fratellanza e della fraternità, assume un nuovo valore anche il legame all’interno della comunità di fede, essere accomunati dalla relazione di discepolato ci consente di intessere rapporti più saldi di ogni altro legame, nuove relazioni, che osano andare oltre lo schema (pur bello e dignitoso) del legame parentale. Così, se qualcuno fra noi vive nel dolore di non avere una famiglia propria, o di vivere male con i propri parenti, ha un orizzonte più ampio: la Chiesa di Dio. Nel festeggiare in questo 2023 il 50esimo della Caritas diocesana, oltre al ringraziamento per chi in questi anni si è reso mani e cuore per i fratelli, vogliamo farci stimolare nella riflessione anche dalle indicazioni attese in chiusura del Sinodo diocesano, conclusioni attese a marzo 2024.

 

Monica Siri

direttore Caritas

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